ANATOMIA DI UN FILM / Settembre 2023


Da Lunedì 18 Settembre 2023 / Cinema Teatro Aurora / Via Venier n. 32, Treviso
ANATOMIA DI UN FILM
Nuovo corso di cinema a Treviso!
a cura di Marco Bellano

Ogni lunedì dalle 20:30 alle 22:30, da lunedì 18 settembre per 4 incontri.

Link per iscrizione: Iscrizione corso “Anatomia di un film”
oppure scrivendo all’indirizzo mail cineforumlabirinto@gmail.com


A partire da metà settembre, Cineforum Labirinto presenta un nuovo ciclo di lezioni di cinema per tornare a vivere il fascino della sala cinematografica in compagnia dei capolavori e dei grandi registi che hanno fatto la storia della Settima Arte.

Presso il Cinema Teatro Aurora di Treviso, Cineforum Labirinto propone un corso dedicato all’analisi di quattro grandi capolavori del cinema. Le lezioni si concentreranno sulla genesi creativa delle opere e sulle tecniche stilistiche e le scelte tematiche adottate dai registi, lasciando spazio anche ad aneddoti sulla produzione, sul cast e sull’influenza delle pellicole nell’immaginario collettivo.

I film selezionati sono Tempi moderni (1936) di Charlie Chaplin, Jules e Jim (1962) di François Truffaut, C’era una volta in America (1984) di Sergio Leone e Il grande Lebowski (1998) di Joel ed Ethan Coen.

Il corso, ideato e curato da Marco Bellano, docente di cinema presso l’Università di Padova, è rivolto a studenti, videomaker, insegnanti e appassionati che vogliano scoprire o approfondire la grammatica cinematografica e la storia del cinema attraverso i capolavori di cinque grandi maestri.

L’iniziativa si articola in 4 incontri che si terranno di lunedì dalle ore 20.30 alle 22.30,  a partire da lunedì 18 settembre 2023, presso il Cinema Teatro Aurora,  situato in Via Sebastiano Venier n. 32. Il costo del corso è pari a 70€.

La sede del corso è una sala cinematografica con un capienza massima di 300 posti, dotata di un grande schermo e ampi spazi per accedere alle sedute. Sarà inoltre possibile usufruire del parcheggio adiacente al Cinema, riservato in via esclusiva ai partecipanti al corso.

Per iscriversi e per maggiori informazioni: cineforumlabirinto@gmail.com / 3407417350

Scopri il programma del corso e altre informazioni scorrendo qui sotto!


IL PROGRAMMA

1° incontro | TEMPI MODERNI

Je cherche après Titine” canta Charlot, ed è una rivoluzione; per la prima volta, dopo oltre vent’anni, il personaggio più amato del cinema muto rivela la sua voce allo sterminato pubblico dei suoi ammiratori. Anzi, no: Charlot canta “Se bella giu satore, je notre so cafore”, perché usare la voce va bene ma, come lo imbecca Paulette Goddard nel film, “never mind the words!”. Le parole non sono così importanti in Tempi Moderni (1936) e nella poetica che Charlie Chaplin traghettò orgogliosamente sino a quel 1936: “salvare” dall’estinzione l’estetica del muto abbracciando la tecnologia del sonoro, ma senza ubbidire alle regole del “parlato”. In Luci della città (1931) e, appunto, Tempi moderni, avrebbe allora trattato la voce come un effetto tra gli altri, al servizio della comicità e del sentimento. In fondo, ha davvero senso che questa “resistenza” artistica culmini proprio in Tempi moderni, visto che al cuore del film sta una malinconica satira del confronto tra l’umana fragilità e gli schiaccianti luoghi e tempi della società industriale. Charlot, trascinato tra gli ingranaggi della macchina (come in una delle scene più celebri del film), troverà comunque il modo di uscirne illeso e pronto a capire e sfidare il presente: il suo canto senza senso, nel finale, annuncia anche che Chaplin non avrebbe più taciuto, preparando la strada all’attuale e drammatico eloquio di Il grande dittatore (1940) e di tutto il seguito della sua carriera.

2° incontro | JULES E JIM

De femme fatale qui m’fut fatale”: e fatale sembra anche il canto di Catherine/Jeanne Moreau, durante i tempi d’oro del fragile triangolo amoroso costruito assieme a Jules (Oskar Werner), e Jim (Henri Serre). Jules e Jim, firmato da François Truffaut nel 1962, è un altro di quei film che può essere raccontato partendo dalla canzone attorno a cui ruota, anzi, turbina: Le tourbillon de la vie, parte di una colonna sonora tra le più affascinanti e intelligenti mai composte da Georges Delerue. Nel pieno della nouvelle vague e della sua incontenibile voglia di rinnovamento, Truffaut fa rifrangere nel suo cinema le tensioni sentimentali che sprigiona l’amicizia quando tradisce e trasforma il suo volto, rivelando l’amore. Ecco, allora, uno stile pieno di vitalità e sorprese, tra fermi immagine e cambi di ritmo, all’inseguimento delle emozioni maschili smarrite attorno a una donna pericolosamente idealizzata, e per questo destinata a rimanere, nonostante le apparenze, irraggiungibile e inconoscibile sino alla fine. Anche per questo, forse, nel titolo Catherine non c’è; più che la sua presenza, nel film, contano infatti le sue meravigliose e dolorose assenze, e il modo in cui il linguaggio cinematografico ne coglie la forza inesorabile e molteplice.

3° incontro | C’ERA UNA VOLTA IN AMERICA

Tutte le fiabe iniziano con “c’era una volta”; perché dunque non fare lo stesso anche per le storie delle moderne mitologie popolari con cui l’America affascinò l’Europa nel Novecento, come il western e i film di gangster? Sergio Leone lo fece, un prima volta, con C’era una volta il West (1968); era un modo per trasformare definitivamente in leggenda il lavoro fatto sul genere con la “Trilogia del dollaro”. Tuttavia, mitologia a parte, era anche l’inizio di una nuova serie di film, destinata ad essere la più politica e personale di Leone: la “Trilogia del tempo”, di cui C’era una volta in America (1984) costituisce culmine e sipario. Non sembra tuttavia un punto di arrivo, ma un nuovo inizio, tanta è la carica innovativa della labirintica narrazione; e infatti, paradossalmente, la stessa America celebrata (e criticata) dal film non ne capì il significato e si ridusse a tagliare e rimontare la vicenda in un mortificante ordine cronologico. C’era una volta in America, invece, si nutre proprio dei suoi molteplici piani temporali, che restituiscono la potenza dell’epica gangster attraverso la lente deformante delle debolezze e illusioni di un singolo, David “Noodles” Aaronson, ovvero Robert De Niro. Non sapremo mai, alla fine, se la sua storia sia sogno o realtà; anche la musica di Ennio Morricone, ormai lontana dai “tangibili” fischi e schiocchi dei western, alimenta ad arte il dubbio, tra armonie avvolgenti e lirismo soffuso. Ma non potrebbe essere altrimenti, del resto, se tutto inizia con “c’era una volta”.

4° incontro | IL GRANDE LEBOWSKI

Che cosa rende un film “di culto”? Le variabili sono tante, e i meccanismi cambiano ad ogni epoca; fatto sta che Il grande Lebowski (1998) sembra aver centrato una di quelle alchimie destinate a restare vincenti per anni. I fratelli Coen, i registi, avevano già dimostrato ampiamente quanto sapesse diventare memorabile il loro stile tagliente, dal loro esordio Blood Simple – Sangue Facile (1984) allo spietato Fargo (1996). Il grande Lebowski, tuttavia, questo stile lo fa esplodere nel modo più stralunato e coerente, a cominciare dal protagonista, il cui soprannome italiano, “Drugo”, cela un ben più sfrontato “The Dude”: un nome che potrebbe essere di tutti e nessuno, e che però è ormai inestricabilmente legato all’eccentricità debordante del personaggio di Jeff Bridges. Eppure, come tutto il film, “The Dude” è anche segnato dalla malinconia: in lui rivivono gli anni Sessanta, dalla cultura hippy al bowling, passando per vena psichedelica che travolge volentieri anche molte delle più indimenticabili sequenze del film. Alla fine del secolo più breve e caotico della storia, insomma, “The Dude” sembra rinunciare a capirci qualcosa, lasciandosi trascinare in una storia più grande di lui; e così fa anche il cinema dei Coen, che però del cinema contemporaneo, e della sua irrefrenabile voglia di contaminare, contraddire e reinventare, sembrano invece aver capito proprio tutto.


IL DOCENTE

Marco Bellano è docente di History of Animation all’Università di Padova e Marie Curie Global Fellow (progetto FICTA SciO, su animazione e divulgazione scientifica, in collaborazione con la Hochschule Luzern e il CICAP, 2023-2025). Oltre che a Padova, dal 2013 è stato docente presso sedi accademiche quali la Boston University Study Abroad, l’Università di Salamanca e il Conservatorio di Ferrara. Ha inoltre svolto ricerche sul rapporto tra musica e animazione. Tra le sue pubblicazioni: Václav Trojan. Music Composition in Czech Animated Films, Routledge, 2019; Allegro non troppo. Bruno Bozzetto’s Animated Music, Bloomsbury, 2021. Nel 2014 riceve dalla Society for Animation Studies, di cui presiede nel 2017 a Padova il 29° convegno annuale, il premio Norman McLaren-Evelyn Lambart al miglior articolo accademico. È nel comitato scientifico del Mutual Images Journal, di Cabiria e delle collane “Lapilli” (Tunué). È stato giurato per festival internazionali (tra cui Teheran International Animation Festival, Future Film Festival). Pianista e direttore d’orchestra, collabora dal 2012 ai programmi didattici e divulgativi del Palazzetto Bru Zane – Centre de musique romantique française.


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